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RUTA SIRIACA (PEGANUM HARMALA)

In questi ultimi anni una pianta, il cui rapporto con l’uomo è di antica data, è oggetto di una rinnovata attenzione da parte degli psiconauti enteogenici: il Peganum harmala. E ciò non tanto per le sue proprietà psicoattive, quanto per le sue potenzialità di sinergismo in accoppiamento con altri vegetali psicoattivi, specialmente quelli enteogeni. Come pianta nota e utilizzata presso le antiche culture del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, non è da escludere il fatto che queste associazioni, o alcune di queste, fossero già state scoperte e valorizzate in precedenza. Considerata sino a non molti anni fa come una pianta psicoattiva di interesse secondario, il Peganum sta velocemente riacquistando la posizione che si merita, quale importante pianta sacramentale delle culture mediterranee e asiatiche. In queste pagine riporto un insieme di dati, provenienti da diverse discipline, al fine di offrire un quadro generale di informazioni su questa pianta; una pianta finora ignorata o scarsamente trattata nella documentazione divulgativa e specialistica italiana.

Il Peganum harmala L. (Species Plantarum, 1753: 444), della famiglia delle Zygophyllaceae, è nativo delle regioni aride che vanno dal Mediterraneo orientale all’India settentrionale, alla Mongolia e alla Manciuria, ed è presente nell’Europa di Sud-Est, compresa l’Italia del Sud e insulare. Il limite settentrionale dell’area di distribuzione è proprio l’Italia, dove la specie ha carattere sinantropico, facendo supporre che sia qui stata introdotta, sebbene in tempi remoti. Gli habitat preferiti dalla pianta sono gli incolti aridi, le steppe, i bordi delle vie. E’ una pianta dal portamento vivace, ramosa, con rami ricchi di foglie, raggiungente l’altezza di 80 cm, fortemente odorosa se stropicciata o contusa. Le foglie sono alterne, sessili, con profonde e numerose divisioni lineari, terminanti nella punta. I fiori sono solitari, disposti alla sommità dei rami, superati dai cinque sepali con divisioni lineari. Corolla di circa 3cm di diametro, con cinque petali ovali, bianchi all’interno, verdastri all’esterno. Stami fino a 15, con lunghe antere gialle. Ovario verdastro, sormontato dallo stilo. I frutti sono capsulari. Semi piccoli, numerosi (Beniston 1984).

In italiano viene chiamata ruta siriaca o pègano, in francese rue sauvage, in tedesco steppenraut, in inglese syrian rue o wild rue. E ancora, nel Nord Africa è chiamata harmel, mejennena, besasa, in India, in lingua indi, gandhya o harmal, e in bengalese isband o ispand.

E’ una rinomata pianta utilizzata come afrodisiaco e medicinale sin dai tempi antichi nell’area del bacino orientale del Mediterraneo. Recentemente, è stata proposta l’identificazione di questa pianta con l’Haoma dell’Avesta iraniano e con il Soma dell’India vedica, le note bevande dell’immortalità della mitologia indo-iraniana (Flattery e Schwartz 1989). Non va comunque esclusa la possibilità che questa pianta abbia costituito un sostituto locale (iraniano) dell’Haoma originario, nei periodi di passaggio dall’uso dell’agarico muscario (quale ancor convincente identificazione proposta da Gordon R. Wasson 1967) all’odierno oblio. Tuttavia, dalla raccolta dei dati sull’uso e sulla mitologia della ruta siriaca in Iran e nel Medio Oriente, se ne evidenzia un suo uso cultuale sin dai tempi pre-islamici. I semi e altre parti della pianta venivano bruciati per produrre un denso fumo inebriante durante i rituali Zoroastriani e questo uso sopravvive ancora oggi. L’uso di bruciare la ruta siriaca (il sauma avestico, sempre secondo l’interpretazione di Flattery e Schwartz) è rintracciabile anche nel testo religioso dell’Avesta e nelle antiche fonti iraniane dei Gathas. Ma per quanto riguarda i tempi antichi, v’è evidenza che venisse pure bevuto un estratto del vegetale (Flattery e Schwartz 1989: 63).

Un’antica indicazione riguardo questa pianta sembra essere stata individuata in un testo cuneiforme anatolico (Cappadocia), scritto su una tavoletta di terracotta, datata al 1950 a.C.; in questa viene riferito dell’uso dell’allanum (le ceneri del Peganum) come detergente (Pliess e de Vries n.d.). E' stato recentemente evidenziato il ruolo di questa pianta nei rituali copti egizi; denominata col nome di bésa, sarebbe stata in associazione col dio Bes, il datore di oracoli in Abydos. In una invocazione iniziatoria coptica datata al II-III secolo d.C., e proveniente da Tebe, l’harmala è stata identificata con l’albero noub, inteso come Albero della Vita, sotto cui risiede Osiride. La pianta bèsa aveva un ruolo nella magia divinatoria greco-egizia e un testo magico etiopico riferisce dell’harmala come un antidoto alla possessione demoniaca (DuQuesne 1991: 26 e 54). Oggigiorno, nei mercati egiziani, l’olio ricavato dai semi (zit-el-harmel). viene commercializzato come afrodisiaco. La ruta siriaca era conosciuta anche presso le culture greca e romana, sebbene la sua identificazione nella letteratura classica sia stata soggetta a confusioni da parte degli autori antichi e degli studiosi moderni che hanno trattato l’argomento; e ciò soprattutto a causa della frequente identificazione della ruta siriaca con la ruta comune (Ruta graveolens L., fam. Rutaceae). Questa cresce selvatica in Grecia e in Italia e possiede, come l’harmala, un odore maleodorante, percepibile stropicciando le sue foglie. Fu questa comune caratteristica a indurre a considerarle, nell’antichità, due varietà di una medesima pianta, la ruta. In base alle attuali sistemazioni botaniche, le due piante appartengono, non solo a generi, ma anche a famiglie differenti.

In greco la ruta veniva chiamata pèganon e in latino ruta. Teofrasto ne riconosce una forma selvatica (Hist.Pl., VII.6. 1). Similmente, Dioscoride (111, 45) riferisce di entrambe le forme coltivata e selvatica, considerando quella selvatica non edule (Andrews 1948). La forma selvatica descritta da questi autori è da identificare nel P. harrnala. Anche la varietà ‘galatica’ di ruta descritta da Plinio (Hist.Nat., XX, 131-2) corrisponde probabilmente a questa specie. Dioscoride identifica la ruta siriaca con la magica erba omerica moly.

In un racconto di Eliano (Nat.an., IV,14), viene riferito che quando la donnola si aspetta di lottare contro il suo nemico naturale, il serpente, suole premunirsi ingerendo come contravveleno il pèganon. In effetti, entrambe le specie sono state considerate come un rimedio contro ogni forma di sortilegio e di malocchio. In un rito medievale per la benedizione della ruta si dice: "Ti benedico, o creatura della ruta, affinché tu serva da sterminio del diavolo e di tutti coloro che gli danno asilo" (Rahner 1957: 211). Pellizer (1982: 87-8), analizzando il racconto di Eliano della donnola e del serpente, non si meraviglia del fatto che una parte molto ampia della tradizione botanica e medica che nomina il moly, l’erba che Hermes raccoglie per Ulisse come antidoto alle pozioni della maga Circe, identifichi questa pianta con la "ruta selvatica", il P. harmaia, cioè con la stessa pianta che la donnola assume come antidoto per affrontare il suo velenoso nemico. Sempre Pellizer evidenzia come, nonostante tra i medici e i botanici antichi fosse diffuso il parere che non esiste un rimedio efficace contro l’aconito (Aconitum napellus L.), alcuni sostenevano che ci si può premunire contro i drastici effetti di questa pianta velenosa ingerendo per l’appunto il pèganon. Teopompo (Fr. 181b, Jacoby; cf. anche Athen., Deipnos., III,85a,b) narra che in questo modo i notabili di Eracle se ne premunivano, prima di comparire alla presenza del tiranno Clearco, che aveva la deprecabile abitudine di avvelenare chi gli dava ombra proprio con l’aconito (Pellizer 1982: 88).

Nell’Europa tardo-medievale circolavano alcune credenze riguardanti questa pianta, diverse delle quali esagerate o infondate, come quella riportata da John Gerard nella sua monumentale opera The Herbal del 1663: la "ruta selvatica "sprigiona un vapore così nocivo che infiamma la faccia di colui che la sta osservando, con formazioni di vesciche; avvelena le mani di chi le tocca, e anche la faccia, se toccata prima di lavarsi bene le mani; quindi, non deve essere ammessa come cibo o come medicina" (p. 1257). Non meraviglierebbe il fatto che questo aspetto demonizzante avesse origini cristiane, come si è verificato per altre piante psicoattive.

Nel Ladak, in India, i semi di harmal vengono abbrustoliti e polverizzati per ottenere una polvere fine, chiamata techepakchìatzen, che viene assunta così com’è o fumata con il tabacco per conseguirne effetti narcotici (Navchoo e Buth 1990). Si hanno notizie di attuali tentativi di coltivazione per uso psicoattivo negli Stati Uniti; mancano però altri dati sul suo impiego in questo contesto (Ott 1976: 80). La coltivazione della pianta non sembra essere cosa facile. E’ anche stato riportato che, durante la seconda guerra mondiale, gli scienziati nazisti usavano la pianta come "siero della verità" (Duke 1986, cit. in Festi e Aliotta 1989).

Il Peganum è utilizzato in diverse regioni come pianta medicinale, come vermifugo, soporifero, narcotico, afrodisiaco, lattagogo, e nella cura di alcuni disturbi della vista. Sono note le sue proprietà abortive. In India è stato utilizzato nella cura della malaria (Hassan 1967; Chopra et al. 1958; Vries 1985) e sono state messe in rilievo, in seguito a studi in vitro, le sue proprietà antimicrobiche e antivirali (Adday et al. 1989; Rashan et al. 1989).

La ruta siriaca è una delle piante a maggior produzione di alcaloidi ß-carbolinici, specialmente nei piccoli e numerosi semi, ove questi composti possono raggiungere concentrazioni del 2-7% del peso secco. Le radici ne contengono in quantità dell’1.4-3.2% (Ott 1993: 205). I principali alcaloidi determinati sono: armina, armalina (Fischer e Tauber 1885), armolo, armalolo, armidina (Manske 1965). Inoltre, sono stati isolati ruina (8-idrossiarmina-ß-D-glucoside) (Nettleship e Slaytor 1971 ) diidroruina (8-idrossiglucosil-armalina), 5- e 6-idrossitriptamina (McKenzie et al. 1975), armalidina (Siddiqui et al. 1987), un ossamide in quantità dello 0.15% (Ayoub et al. 1989), un diidro-ß-carbolino fenolico, siglato con YC2 (Nettleship et al. 1974, cit. in Nettleship e Slaytor 1974). Va ricordato ancora, che nei semi e nella pianta sono presenti altri alcaloidi, di tipo quinazolinico: vasicina (=peganina, 0.1%), vasicinone, desossivasicinone (Siddiqui 1962; Liljegren 1971). Questi alcaloidi sono presenti a più elevate concentrazioni in altre piante, quali Adhatoda vasica Nees. (Fam. Acanthaceae). La vasicina sembra possedere una leggera attività ipotensiva, mostra un’azione stimolante sull’utero ed è un apprezzabile broncodilatatore e uno stimolante respiratorio (Arambewela et al. 1988). E’ molto probabile che le proprietà farmacologiche di questi composti secondari incidano sull’effetto globale dell’hairmal e dei suoi semi.

Gli effetti psicoattivi del Peganum sono percepibili sia fumando i semi pestati in un mortaio, sia bevendone un infuso. Fra gli alcaloidi ß-carbolini prodotti da questa pianta, vi sono principi attivi presenti pure nelle liane tropicali del genere Banisteriopsis, che, congiuntamente ad altre specie contenenti alcaloidi triptaminici (quali Psychotria viridis), costituiscono gli ingredienti di quel complesso di bevande allucinogene largamente impiegate in Amazzonia e conosciute con i nomi di ayahuasca, yajé, caapi, pinda, natem (Schultes 1982). Esperimenti controllati con armina e armalina non ne hanno dimostrato appieno l’attività allucinogena, anche se per somministrazione dei due composti (25 mg) sono state riportate euforia, estraneazione dal mondo, visioni colorate a occhi chiusi (Lewin 1924; Hoffer e Hosmond 1967; Ott 1976). E’ invece certa la capacità che questi composti hanno di inibire la monoammino ossidasi (attività enzimatica IMAO) dell’apparato gastrico umano: è stato perciò ipotizzato che nell’ayahuasca svolgano un’azione sinergica nei riguardi dei derivati triptaminici allucinogeni (DMT e affini) contenuti in varie piante aggiunte alla bevanda, e la cui attività per somministrazione orale sembra evidenziarsi solo in associazione con un MAO-inibitore (McKenna et al. 1984; McKenna e Towers 1984).

Negli esperimenti effettuati da Claudio Naranjo (1973), gli effetti della somministrazione orale della sola armalina sono risultati "uno stato di rilassamento fisico, una tendenza ad estraniarsi dall’ambiente circostante (..), un certo intorpidimento alle estremità e, soprattutto, immagini visive molto vivide, che possono assumere la forma di una sequenza simile a un sogno significativo". Gracie e Zarkov (1993) hanno riportato i risultati di una serie di autosperimentazioni eseguite fumando estratti di semi di Peganum, in combinazione con l’assunzione orale di DMT, e anche di LSD e di funghi psilocibinici della specie Psilocybe (Stropharia) cubensis, deducendone che le ß-carboline del Peganum intensificano gli effetti psicoattivi dei diversi composti, in alcuni casi anche con significativi incrementi nella loro durata. Recentemente, Jonathan Ott (1994a,b) ha provato in alcune autosperimentazioni l’assunzione orale combinata di Peganum e di DMT, riportando, in presenza del giusto rapporto quantitativo, "distinti effetti enteogenici".

Riguardo all’assunzione orale dei soli semi di Peganum, lo stesso autore riporta un effetto maggiormente di tipo sedativo, piuttosto che simile a quello degli enteogeni classici (Ott 1994a: 57). Nel corso di alcuni viaggi in Africa, chi scrive ha avuto l’occasione di provare gli effetti dei semi pestati, mescolati con un po’ di tabacco, e fumati in una pipa. Gli effetti sono di tipo rilassante per il corpo, mentre nella mente si presentano effetti "caldi" e "vivaci", che non hanno tuttavia caratteristiche strettamente enteogeniche. Fumato, l’effetto dura 40-60 minuti, mentre è di 3-4 ore quando viene ingerito.

Gracie e Zarkov (1985), descrivendo gli effetti dei semi di pegano fumati, osservano che "l’effetto sopraggiunge e si stabilizza dopo circa 5-10 minuti dalla fumata. Non sembra che l’aumentare la quantità di semi fumati comporti un aumento degli effetti psicoattivi, ma solo un incremento degli effetti fisici collaterali. E’ preferibile fumare il materiale vegetale con un fiammifero o con un accendino, al fine di promuovere l’ebollizione del materiale, piuttosto che bruciarlo". I sempre più vivi interessi sviluppati attorno a questa pianta sono dovuti, dunque, più che per i suoi dubbi effetti allucinogeni, al suo possibile impiego come potenziatore degli effetti degli altri allucinogeni. E ciò può valere per altre piante producenti sufficienti quantità di alcaloidi ß-carbolinici. In base al meccanismo sinergico che si viene a creare nella combinazione ß-carboline/DMT, potrebbero esistere differenti coppie di specie vegetali la cui assunzione congiunta induce effetti simili a quelli dell’ayahuasca.

Ultimamente, si è visto un rifiorire di interessi delle ß-carboline anche nei campi di indagine neurochimica e neurofarmacologica; questi composti sono stati ritrovati nella ghiandola pineale umana e sembrano coinvolti direttamente nel meccanismo di produzione e di controllo dei cicli onirici. La principale ß-carbolina ritrovata nell’uomo è la pinolina (6-metossi-tetraidro-ß-carbolina), che si forma probabilmente per condensazione di una triptamina (Airakinsen e Kari 1981). Secondo l’ipotesi di James Callaway (1988), i livelli di ß-carboline endogene aumentano durante il sogno e facilitano la attività delle triptamine metilate bloccandone il metabolismo mediante la loro proprietà MAO-mibitrice e in base a un meccanismo affine a quello implicato nell’ayahuasca. Le attività delle triptamine endogene (particolarmente DMT e 5-MeO-DMT), fomenterebbero quindi le componenti emotive e visive del sogno (cfr. anche Callaway 1994; Buckholtz 1980; Strassman 1990).

In questi ultimi anni si stanno scoprendo le ß-carboline ovunque. Tracce di armano e di norarmano sono presenti nel tabacco e, in maggiori quantità, nel fumo di tabacco (Snook e Chortyk 1982), e piccole quantità di ß-carboline sono presenti nelle bevande alcoliche quali il vino e la birra e in alcuni cibi (latticini, frutta, verdure) (Beck et al. 1983). Ancora, composti ß-carbolinici si formano nei diversi processi di pirolisi dagli aminoacidi e dalle proteine (Nishigata et al. 1980; Kleinbauer e Rabache 1990), e ciò porta a sospettare una più massiccia presenza di queste sostanze nei prodotti alimentari in genere.

Infine, ricordo che recenti annunci pubblicati su alcune riviste psichedeliche di carattere divulgativo e underground mettono in guardia dall’uso sconsiderato delle ß-carboline e dei semi di P. harmala. Questi composti non possono essere usati in associazione con: farmaci antidepressivi; MDMA ("Ecstasy") e altre fenetilamine, comprese diverse "smart drugs"; cibi contenenti tiramina, o dove siano stati utilizzati processi enzimatici (yoghurt, formaggi stagionati, vini, specialmente Porto o Chianti, birra, salsa di soia, ecc.) Le bevande alcoliche e anche gli eccitanti quali il caffè e la cioccolata, sono da evitare. Queste associazioni possono promuovere una crisi ipertensiva e certe persone possono esserne particolarmente sensibili. Poiché la lista sopra riportata non è completa, questi annunci consigliano la massima prudenza a chi si avvicini a queste tematiche (Gracie e Zarkov 1985; Callaway 1993; cfr. anche The Entheogen Review, 1/2:2-3 e 2/2).

fonte: AA.VV. Percorsi Psichedelici, 1995 Grafton Bologna

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