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Tabernanthe Iboga La Leggenda..

La leggenda racconta che l’arbusto di iboga, come molte piante psicoattive, sia nato da un umano tramite l’intervento degli dei. Più precisamente, il dio Zame ye Mebege avrebbe tagliato le dita ad un pigmeo di nome Bitamu e le avrebbe poi piantate nella foresta dove crebbe l’arbusto di iboga.

L’utilizzo sacramentale della radice di iboga ha grande importanza nei culti Buiti, nati circa 150 anni fa dalla mescolanza di culti indigeni con la fede cristiana e diffusi soprattutto nel Gabon. I Buiti appartengono principalmente a due gruppi tribali, i Fang e i Mitsogho, i quali sostengono di aver appreso l’utilizzo dell’iboga dai pigmei, abitanti della foresta.

I culti Buiti si dividono in varie sette che si distinguono nel grado in cui hanno assimilato i simboli e le pratiche cristiane. Tutti considerano le radici di Tabernanthe iboga l’autentico sacramento, contrariamente all’ostia cristiana. L’iboga è l’albero della conoscenza, tramite il quale l’umanità può conoscere il creatore e il creato. Come fu spiegato ad un ricercatore: "Siamo noi i veri Cristiani. I Cattolici hanno perso la via che porta a Cristo; i missionari che ci offrono la loro insipida ostia chiedendoci di abbandonare l’iboga, non sanno di cosa stanno parlando." (Samorini 1993).

Per diventare un iniziato al culto Buiti, il novizio deve assumere una fortissima dose di iboga (50-100 volte la dose utilizzata normalmente), per raggiungere uno stato di coscienza mistico-estatico durante il quale la sua anima affronta un lungo viaggio verso la terra dei morti, fino ad arrivare alle origini della vita e al contatto diretto con Dio. Questo viaggio dura tre notti e tre giorni e non è privo di rischio: vista la quantità di iboga assunta può capitare che il novizio non sopravviva all’iniziazione. Ritornato dal suo viaggio, l’iniziando dovrà comunicare alla comunità il contenuto delle sue visioni, dopodiché sarà considerato iniziato a tutti gli effetti. Il primo bianco a partecipare personalmente ad un’iniziazione Buiti è stato il ricercatore italiano Giorgio Samorini, che in seguito ha fornito accurati resoconti dell’esperienza.

Nell’epoca moderna, i culti Buiti hanno assunto una grande importanza sociale, aiutando gli indigeni a conservare la loro identità culturale, erosa dal contatto con la civiltà occidentale e l’influenza dei missionari cristiani. Secondo Samorini ci sarebbero attualmente 2000 templi Buitisti unicamente in Gabon, testimonianza della popolarità di questi culti.

La Tabernanthe iboga cresce nell’africa equatoriale occidentale (Gabon, Congo, Camerun, Angola, Zaire) e costituisce la più importante pianta visionaria del continente nero. E’ un arbusto che cresce fino ad un’altezza di 1500m, prediligendo le zone umide e parecchio ombrose. Viene solitamente propagato tramite talee o divisione delle radici, ma può essere coltivato anche partendo dal seme, ammesso che questo venga piantato entro poco tempo dal raccolto. La famiglia delle Apocynaceae alla quale appartiene è considerata quella più ricca di alcaloidi nel regno vegetale.

Le radici di Iboga cominciano ad essere farmacologicamente attive dopo l’età di quattro anni. Il raccolto delle radici avviene scavando delle buche laterali, in modo da asportare solo una parte delle radici secondarie permettendo alla pianta di continuare a crescere. La radice fresca viene solitamente scorticata prima dell’essicazione, in modo da conservarne unicamente la corteccia, contenente la maggior concentrazione di alcaloidi. Questa scorza polverizzata, dal sapore estremamente amaro, viene ingerita direttamente con l’aiuto di acqua.

Piccole quantità (circa un cucchiaio da tè) di radice hanno un effetto stimolante accompagnato da un senso di leggerezza e beatitudine, intensificazione dei colori e una percezione del tempo dilatata. Con dosi crescenti diventano più evidenti gli effetti visionari (“psichedelici”) ma anche quelli fisici, infatti per avere un’esperienza visionaria è necessario sopportare disturbi piuttosto intensi, tra i quali tachicardia, secchezza della bocca, forte sudorazione, battito cardiaco accelerato, tremori e spasmi muscolari. Come con tutte le sostanze visionarie, gli effetti dipendono in gran parte da quello che ci si aspetta dall’esperienza e dall’ambiente (persone e luogo) circostante. E’ quindi praticamente impossibile descrivere un’esperienza “tipica” con alte dosi di radice di iboga.

Nella medicina popolare si impiega la radice come afrodisiaco, nervino, stimolante, tonico, contro febbri, pressione alta e mal di denti. Viene anche utilizzata, similmente ai funghi psilocibinici in Messico, per divinare la causa di malattie. Nel Congo viene preparato un afrodisiaco facendo macerare le radici per diverse ore nel vino di palma.

E’ stato riportato anche l’utilizzo dell’iboga in combinazione con altre piante (per la maggior parte non documentate) che ne alterano o aumentano gli effetti. Tra queste il tabacco (considerata una pianta sciamanica importantissima in tutto il mondo), lo yohimbe (conosciuto soprattutto per il suo effetto afrodisiaco) e la Cannabis. Quest’ultima sembra amplificare in maniera notevole gli effetti dell’ibogaina.

Le prime notizie delle proprietà stimolanti e afrodisiache della pianta apparvero nel 1864 ma la prima descrizione botanica avvenne solamente nel 1889. Nel 1901 venne isolato l’alcaloide primario, chiamato in seguito ibogaina. Fu stabilito che la scorza di radice essicata contiene circa il 6% di alcaloidi dei quali l’ibogaina è il più importante. Ricerche farmacologiche sulle proprietà dell’ ibogaina vennero eseguite soprattutto in Francia e portarono alla vendita di un estratto contenente circa 8mg di ibogaina venduto dal 1939 al 1970 come tonico e stimolante sotto il nome di Lambarène.

L’interesse nell’azione farmacologica dell’ibogaina (e altri alcaloidi simili come la nor- ibogaina e la voacangina) è rinato ultimamente in seguito a numerose osservazioni che sembrano indicare la possibilità di interrompere dipendenze da svariate sostanze, tra le quali alcool, cocaina, eroina, e nicotina con una singola amministrazione. L’effetto apparentemente include sia i sintomi fisici dovuti all’astinenza, sia il bisogno psicologico di continuare ad utilizzare la sostanza. Sono in corso diversi studi in questo campo e i risultati preliminari sono molto promettenti.

Link:

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