Passa ai contenuti principali

Post

AYAHUASCA

di Marco Nieli, Ottavio Iommelli Conosciuta dai popoli dell'Amazzonia come yagé, caapi, dàpa, mihi, kahi, natema, pindé, saga del muerto, bejuco bravo, etc., l'ayahuasca (letteralmente, "liana o rampicante dell'anima") è un beveraggio allucinogeno prodotto dalla decozione di due o più piante locali, impiegato tradizionalmente da sciamani e curanderos nativi in cerimonie di guarigione a sfondo magico-esoterico e terapeutico. Sebbene sia noto l'uso rituale di tale beveraggio fin dai tempi delle prime esplorazioni da parte di occidentali (sec. XVIII-XIX), è solo in tempi recenti che si è giunti a una corretta identificazione delle piante che forniscono i principi attivi. La componente base è rappresentata dalla Banisteriopsis caapi o inebrians, una liana della giungla la cui corteccia viene sminuzzata in appositi mortai e poi sottoposta a decozione con aggiunta (a scelta) di Datura, Psychotria (viridis o carthaginensis), Brugmansia suaveolens, Brunfelsia (chirica

UFO NELLA MENTE

di Alfredo Lissoni Quanto c'è di soggettivo e quanto di oggettivo negli avvistamenti UFO e negli incontri ravvicinati? Già anni fa lo svizzero Claude Riffat ipotizzò che gli UFO influissero sul locus ceruleus del cervello (la zona deputata ai sogni), producendo visioni ed allucinazioni (ricordate le dimensioni continuamente mutevoli dei dischi e degli alieni, sia in casi di IR-4 come Zanfretta che in episodi di contattismo come Dibitonto?); considerazioni di questo tipo, che avvicinano l'ufologia extraterrestrialista a quella parafisica e al mondo virtuale stile 'Matrix' di Johannes Fiebag, se qualche anno fa potevano scandalizzare i puristi dell'ufologia 'viti e bulloni', nell'era del cyberspazio offrono invece spunti di comprensione oltremodo interessanti; parte della nostra percezione del fenomeno UFO potrebbe essere alterata: spesso il nostro occhio non percepisce l'UFO invisibile o che sfreccia ad altissima velocità o che utilizza un moto quanti

I Mandrilli e le Radici dell’ Iboga

Nelle foreste del Gabon e del Congo, i nativi affermano che, tanto tempo fa, osservarono i cinghiali scavare e mangiare le radici allucinogene dell’iboga (Tabernanthe iboga Baill., famiglia delle Apocynaceae). I cinghiali che assumono l’iboga evidenziano un comportamento convulsivo, saltano di qua e di là e mostrano reazioni di paura e stati allucinatori. Anche i porcospini e i gorilla subiscono volontariamente questi effetti. Osservando questi animali, i nativi allora li imitarono e fu così che scoprirono gli effetti visionari di questa pianta. Nel corso di ricerche in Gabon, volte allo studio dell’uso dell’iboga nel culto religioso del Buiti presso i Fang, Mitsogho, Apindji e altre tribù bantu che vivono nella foresta equatoriale, numerose volte l’autore di questo sito ha avuto conferma dai suoi informatori del fatto che diverse specie di animali si cibano di iboga per drogarsi. Uno sciamano (nganga) mitsogho riportò l’uso dell’iboga fra i mandrilli maschio. I mandrilli vivono in com

INTERVISTA AD ALEJANDRO JODOROWSKY di Pier Luigi Lattuada e Davide Ferraris

(Registrata a Parigi nell’ottobre 1999, in occasione del primo convegno-evento internazionale del movimento transpersonale in Italia “L’Eredità della Tribù. Stati di coscienza nella metropoli di fine millennio”, Milano 1999) La gente vi ha conosciuto inizialmente come il regista de “La montagna sacra”, “El topo”, ecc., oggi siete conosciuto come la persona che fa ‘psicomagia’. Qual è il processo che vi ha portato dalla regia alla psicomagia? Al termine del film ‘La montagna sacra’, nel 1970, mentre lo schermo diventa bianco dico: “Tutto questo non è che un sogno (il cinema). La realtà ci attende”. Quindi dobbiamo uscire dalla virtualità dell’immagine cinematografica per andare a cercare nella vita qualche cosa. Era il 1970 e da lì ho cominciato ad utilizzare la mia esperienza artistica, come la danza espressionista, il mimo, la poesia, il romanzo, il disegno, la musica, il cinema, il teatro, eccetera, ho deciso di applicare quest’esperienza alla terapia. Come per dire: se l’arte non sa